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Racconti

Gianluca Della Monica

autore dei romanzi:

 

LETTERA TRISTE
 

Cara Scarlet,
che giornata ieri! Alle sei meno dieci minuti ero già in servizio in caserma, da solo. Qualche collega era ai piani superiori, ma a dormire negli alloggi.
L'ufficio del comandante era chiuso, come sempre a quell'ora, ma ieri sarebbe rimasto chiuso, o, almeno, sapevo che non sarebbe stato aperto da lui.
Poco prima del sorgere del sole ho appeso la bandiera nel giardino, ma per la circostanza, a mezz'asta, così è stato disposto per tutta la settimana. Ho sollevato la bandiera piano piano, non volevo che la corda si inceppasse o uscisse dal rocchetto. Volevo che tutto fosse perfetto. Il mio capo mi stava guardando. Lo sentivo.
Alle otto, orario di apertura degli uffici, il citofono ha suonato una volta in meno. Sono arrivati i due marescialli giovani addetti ai servizi e il nostro scrivano. E basta. Dalla postazione nel corpo di guardia, ieri, sotto il grande albero di carrube del nostro giardino, non vedevo la punto del capo. Non c'era niente. Solo una chiazza di olio sul terreno.
«Buongiorno maresciallo», ero solito dirgli mentre gli aprivo il cancello, e lui: «Ciao», e mi sorrideva, come per dire «Ah, oggi ci sei tu, quindi non dovrò arrabbiarmi.»
Anch'io gli sorridevo sempre in quel momento. Non mi sorprendeva mai sul divano a guardare la tv. Ero sempre vicino al fax, alla radio di servizio o al telefono. Molte volte l'ho sentito rimproverare alcuni colleghi per la divisa in disordine, e ogni volta aggiungeva: «Quando vi vedrò con una divisa alla Della Monica?» Ora non lo dirà più e se lo sentirò dire da qualcun altro non sarà la stessa cosa.
A mezza mattinata era solito portarmi il giornale, quello regionale, che non ho mai trovato interessante, ma lui me lo porgeva convinto di farmi cosa gradita, e allora lo leggevo. Ricordo ancora quando, un paio di anni fa, strillò ad un collega per aver trovato una montagna di vecchi numeri di quel quotidiano sotto i cuscini del divano, che erano stati messi lì per compensare un notevole affossamento.
«Se questa è la fine che dovete far fare al giornale, non lo faccio più portare!»
Io gli risposi: «A marescia’, ma tanto chi se la legge quella palla?» Era rimasto muto, di cacca. Quell'espressione fu anche motivo di risata tra me e i miei colleghi, in seguito. Da me non si aspettava una risposta del genere. Che idiota che sono stato!
Ieri, poi, poco dopo aver smontato mi sono incontrato con un gruppo di colleghi e siamo partiti per il suo paese, a circa sessanta chilometri dalla caserma. Al funerale c'era una folla inaspettata di gente, secondo me quasi duemila persone. Mi ha fatto molto piacere.
C'erano tutti i miei colleghi, provenienti da un po' tutti i reparti, persino il generale. La chiesetta poteva ospitare solo una minima parte dei presenti. Poi c'è stata la processione fino al cimitero. Non scorderò mai l'espressione della moglie abbracciata alle figlie e la voce di una di quest'ultime nel momento in cui la bara veniva spinta nel loculo: «Ciao papà.» Povera piccola.
Oggi poi sono stordito. Dopo aver lavorato anche di notte, ho dormito circa 13 ore. Quando mi sono svegliato era già buio. Sai, durante la messa, ieri, la luce è andata via per un po'...
Sono stordito e ancora sconvolto, quindi, ma cosa dobbiamo farci? Il mondo è un grande palcoscenico e ognuno di noi ha la sua parte, che non si può cambiare.
Un abbraccio forte.

Gianluca.



"Così va il mondo" di Scarlet.

Caro Gianluca,
così va il mondo. Tu sei ancora piccolo, vedrai tra qualche anno, quando sempre più spesso quelli che hai intorno, che ami o odi, ma che perdio sono lì, vivi, da un giorno all'altro se ne vanno. Il numero cresce con gli anni e a te ti viene il complesso del sopravvissuto, ti senti in colpa che è successo a loro, che tu l'hai scampata. Contemporaneamente ti si scatenano dentro tutti i sentimenti possibili, dal renderti conto della caducità delle cose al pensare che bisogna vivere il momento, sempre, al toccarti i cosiddetti, anche se non ce li hai, perché siamo umani ed è umano aver paura.
Il mio precedente fidanzato diceva sempre quando moriva qualcuno "meglio lui che me" e ti sembrava cinico, ma era il suo modo di difendersi dall'angoscia, perché poi, come lui, non ho conosciuto nessuno al mondo che si prodigasse persino per lavare e vestire il morto, che aiutasse la famiglia, che provvedesse a tutti, soprattutto che piangesse lacrime vere, che per anni ricordasse puntualmente sempre questo o quel parente o amico o conoscente morto, che andasse al cimitero e non perdesse un anniversario o una messa.
Mi dispiace per il tuo superiore. Che riposi in pace.
Ora vado a nanna che ho avuto una giornata campale.
Ti abbraccio forte forte. Oggi, ciascuno per le sue ragioni, ne abbiamo bisogno tutti e due e chissenefrega se abbiamo età diverse.


Scarlet

 


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